Ulisse: un racconto inedito stravagante
Racconto inedito “Ulisse”, scritto da: Alessia Pellegrini.
E’ vietata la riproduzione.
ULISSE
Non lo avevano sentito arrivare, e si stupirono che non avesse suonato come tutti, prima di salire.
Chissà come aveva fatto ad eludere lo scuro portone del palazzo. Se la cavava sempre, forse grazie a delle insospettabili doti escatologiche. Forse perché il portone era talmente vecchio e scuro che non ci voleva poi molto, a forzarlo.
Adesso era lì davanti a loro, con una di quelle espressioni sue, un po’stranite e aggressive, piene di pensieri insondabili. Con quegli occhi che non erano occhi da uomo, di quelli comuni che si indossano oggigiorno o ci si tatuano addosso. Erano più occhi da bambola, da orsacchiotto di pezza coi bottoni cuciti sopra. E ti squadravano con lo stesso sguardo di pezza, di pazzo.
Volevano quasi chiederglielo: ma cos’hai sempre da guardare come se volessi farci fuori tutti? Cioè, dirgli: come fai ogni volta ad oltrepassare il portone scuro del palazzo senza suonare? Una volta glielo avevano domandato. Tutte le parole lì, tangibili ed evidenti, nella calura del terzo piano d’agosto, così dense che potevi toccarle. Trasudavano grasso come se fossero poco allenate. Lui lì che guardava con quegli irrealistici occhi. Di colpo il caldo tanto intenso si era trasformato in brividi di nervosismo che avevano percorso i loro corpi in fila, sdraiati un po’dove capitava, come un accordo disarmonico stride in ogni strumento perfettamente al passo, nella sinfonia. Stride con tanta singolare e sfacciata tracotanza, da far sembrare anzi stonati tutti gli altri strumenti sani.
Decisero di lasciar perdere,o forse lui glielo disse e tutti ci risero su tranquillamente, pensando che si erano immaginati chissà che e invece era un trucco così semplice. E adesso non se ne ricordavano.
Da quegli occhi saettanti si intuiva che gli era venuto in mente qualcosa. Gli era venuto questo pensiero improvviso,folgorante come un’illuminazione epifanica. Osservava il vuoto davanti a sé, davanti a un tomo di Diritto aperto, o con le mani giunte come in preghiera laica, nel tentativo di immortalare qualche insetto fugace, nello scatto fulmineo di una cavalletta. Il tempo che quel crocchiante corpicino verde si librasse in volo, con il concorrere sofferente di tutte le sue zampe oblunghe e il peso delle ossa rattrappite, la paura dell’atterraggio imprevedibile a stento ripagata dall’ebbrezza dello slancio… Il pensiero gli era atterrato nella mente, come una cavalletta fragrante. I suoi denti ne avevano triturato le parti vitali per spremerne un succo rivelatore. Ci doveva essere qualche significato, sotto la scorza verde giallognola. Dentro gli occhietti simili a chicchi di pepe nero, sparpagliati ora in mille granelli. Un venticello mite che li smuoveva sul suo palmo. Erano i filamenti dei fiori che si sfaldano con un soffio, proprio loro, e non briciole d’occhi di cavalletta-pensiero. Però il pensiero c’era tutto, verde e rigoglioso. Germoglio che ostentava la sua eleganza profondendosi in gemiti di languore. Ecco quando era giunto. Mentre faceva l’amore. Mentre Penelope ricercava le sue braccia con le labbra-boccioli. Era così semplicemente bello, per lui, che non poteva fare a meno di distrarsi. Pensava a tante di quelle cose che ci si sarebbe potuto fare un libro, un film, una tesi. E alla tesi avrebbe dovuto pensare, e non alle labbra di Penelope. A che cosa serviva poi, immaginarla? Figurarsi che fosse lì a naufragare sopra il suo corpo, chino invece sul tomo di Diritto? O vederla tra le sue mani giunte, in preghiera laica, per uno scatto artistico di qualche amico insetto. Scatto di cavalletta fragrante che sparpagliava semi di garofano al vento. Sul palmo i neri detriti di pepe nero, bianchi come granelli di zucchero,fini. L’accesso sottile a ogni desiderio lontano. Granelli che erano il sogno d’avvocato, Penelope, il portone scuro che si apriva davanti senza aver interpellato il citofono. Lui che saliva le scale e si trovava davanti tutti loro, curiosi e spaventati. A loro doveva dirlo. Rivelare quel pensiero improvviso, folgorante come un’illuminazione epifanica.