IL PRINCIPE – Machiavelli
Il Principe fu composto tra l’Agosto e il Dicembre 1513, durante l’esilio di Machiavelli di San Casciano.
E’ formato da 26 CAPITOLI, e tratta di cosa è un principato (cioè ogni forma di organizzazione statale), quali tipi ne esistono, come si ottengono e per quali ragioni si perdono.
Dopo una breve trattazione delle varie forme di costituzione politica, in realtà, dal capitolo VI, si passa a trattare la fondazione di un PRINCIPATO “NUOVO” e del PRINCIPE “NUOVO”, al quale Machiavelli suggerisce i mezzi necessari per il conseguimento del proprio fine.
Essi sono la PRUDENZIA, cioè una visione lucida e chiara delle situazioni e delle leggi della politica, e le ARMI, cioè la forza.
L’autore esorta il principe a servirsi di MILIZIE CITTADINE, devotamente legate alla patria, e non di inaffidabili MILIZIE MERCENARIE.
Il vero fulcro dell’opera è costituito dagli ultimi 3 capitoli.
Nel 24° Machiavelli esamina i motivi per cui i principi italiani hanno perduto i propri stati. La difficile situazione italiana deriva dell’inefficienza dei suoi governanti. Essi dunque “non accusino la fortuna, ma l’ignavia loro“.
Nel 25° Machiavelli esamina il rapporto tra virtù e fortuna e invita a un’azione energica.
Nel 26° egli esorta un principe italiano, Lorenzo de’Medici, a liberare l’Italia dallo straniero, fondando in essa un forte stato unitario.
Niccolò Machiavelli compose il PRINCIPE di getto, interrompendo la stesura dei DISCORSI, nei quali, meditando sulla storia di Roma, cercava di desumere da essa le norme universali e costanti dell’azione politica, inserendole in una visione organica e complessa della storia e dell’uomo.
Il PRINCIPE è, invece, un libro di POLITICA MILITANTE che vuole proporre soluzioni concrete per l’attuale situazione italiana, preda di Francesi e Spagnoli.
L’autore è fedele alla REALTA’EFFETTUALE, parte dunque dalla realtà e dall’esperienza, non da concezioni morali e religiose, come gli altri trattati medievali. Egli ha una CONCEZIONE NATURALISTICA dell’uomo: lo vede come un’entità naturale, con capacità razionali e vigore costruttivo, ma più spesso preda di passioni ed egoismi, anche se non muta col variare dei tempi e delle situazioni.
E’ necessaria dunque un’AZIONE ENERGICA E SPREGIUDICATA, compiuta da parte di SINGOLI INDIVIDUI ECCEZIONALI, che vincano gli istinti e gli egoismi dei molti.
La storia è vista come un continuo alternarsi di FERINITA’ e CIVILTA’, di sorgere e di rovinare di Stati.
La politica dunque tende ad assorbire in sé la MORALITA’ ed è formata da un complesso di NORME UNIVERSALI.
E’ l’uomo che costruisce la storia, e non esiste alcuna PROVVIDENZA DIVINA. Ma all’azione dell’uomo si oppone una forza cieca e irrazionale, la FORTUNA. Essa rappresenta a volte un destino insondabile, altre volte volte la situazione storica in cui l’uomo si trova ad agire.
Ma la FORTUNA è anche la parte dell’uomo più istintuale e difficile da contenere. E’ una limitazione e un ostacolo che tuttavia si può e si deve dominare e che permette l’emergere della VIRTU’: “La fortuna è donna ed è necessario […] battere e urtarla“. Essa è un fiume travolgente a cui bisogna mettere ARGINI usando la PRUDENZIA. La VIRTU’ è la capacità dell’uomo di dominare il caso e l’irrazionale. Machiavelli esprime una salda fiducia in ciò. La virtù si esprime soprattutto nei rapporti della VITA COLLETTIVA, cioè nella POLITICA, l’azione umana per eccellenza. Per Machiavelli la difesa della patria è la legge suprema, e la patria coincide con lo Stato, col suo ordinamento.
Qui si trova il LIMITE INDIVIDUALISTICO di tale teoria. Lo stato non si identifica con la volontà generale, ma è creazione di un INDIVIDUO ECCEZIONALE.
Anche quando Machiavelli vagheggia uno stato repubblicano, come nei DISCORSI, esso è pur sempre un REPUBBLICA ARISTOCRATICA, fondata dalle leggi dei “PRUDENTI”, uomini intelligenti e virtuosi.
IL “PRINCIPE” E IL PROBLEMA MORALE:
La realtà effettuale mostrava a Machiavelli che anche la VIOLENZA e il MALE, nei rapporti tra gli Stati e nella vita politica, potevano essere una necessità che a volte dovevano essere usati senza indugi, per il bene e la difesa dello Stato.
Per secoli dunque IL PRINCIPE è stato visto come portatore di un messaggio amorale e spregiudicato, che si è condensano nella massima “Il fine giustifica i mezzi“.
Ma Machiavelli non crede che l’uomo sia portato al male per natura. Egli purtroppo è costretto a ricorrervi per difendersi dalla violenza altrui e dalla FORTUNA cieca e ostile.
La violenza e il male, nell’uomo politico, non devono però essere strumenti di personali e istintuali propositi, ma hanno come unico fine il bene dello Stato. Nel PRINCIPE si avverte un’amara nostalgia per un mondo di uomini nobili e puri, ma domina necessariamente un punto di vista lucido e intelligente sulla tragica realtà della storia dell’Italia e dell’Europa.
IL “PRINCIPE” E L’ITALIA:
Machiavelli esorta l’Italia a non lasciarsi abbattere dalle sventure e a cacciare i barbari, cioè gli stranieri. La politica particolaristica, perseguita nel Quattrocento, ha reso l’Italia debole, disunita, preda delle forti monarchie di Francia e di Spagna. L’unico rimedio è fondare un FORTE STATO UNITARIO, a opera di un individuo forte e risoluto. Machiavelli è consapevole dell difficoltà dell’impresa, ma la sua soluzione era chiaramente utopistica. Mancavano infatti tutti i fondamenti necessari alla fondazione di uno Stato unitario: la COESIONE, la coscienza di un INTERESSE COMUNE e della DIGNITà NAZIONALE, il sentimento della necessità dell’INDIPENDENZA DALLO STRANIERO, almeno nelle classi dirigenti.
STILE:
Il PRINCIPE non mira soltanto a una dimostrazione logica distaccata, ma vuole soprattutto PERSUADERE all’azione magnanima, è un’opera di passione e di fantasia.
E’ pervaso di un INTIMO TONO LIRICO, di un sempre presente carattere di affermazione polemica. Appare come un dialogo con gli uomini e con la fortuna.
Il periodare è rapido e conciso, esprime una tensione lucida e logica del ragionamento, che vuol penetrare con decisione nell’intima realtà.
Il linguaggio è energico, colorito, e insieme CLASSICO e POPOLARESCO e non rifugge dai modi del parlato. Il discorso procede per ANTITESI: richiama la continua tensione tra virtù e fortuna.