TITO MACCIO PLAUTO

VITA
Tito Maccio Plauto nacque a Sàrsina, città allora umbra dell’Appennino Romagnolo, tra il 255 e il 250 a.C. e morì a Roma nel 184 a.C., anno in cui divenne censore Catone. Non molti anni prima della nascita di Plauto, Sàrsina era stata sconfitta e conquistata dai consoli di Roma (266 a.C.).
Forse partecipò alla guerra contro i Galli Boi e Insubri (che finì con la vittoria di Claudio Marcello nel 222 a.C.) e forse in questa circostanza egli abbandonò la città natale e si trasferì a Roma.
Nel più antico codice plautino conservato, il PALINSESTO AMBROSIANO (IV-V sec. a.C.) si attestano tre nomi: Titus Maccius Plautus. Gli ultimi due però sembrano due soprannomi: “Maccius” sembra un ingentilimento di “Maccus” = lo sciocco, maschera dell’Atellana; “Plautus” sembra indicare i piedi piatti o grandi orecchie, e forse indica che Plauto fosse un attore che recitava a piedi nudi o in modo legnoso. Il nome “Maccus” rimanderebbe anche a una sua attività come attore delle Atellane nei primi anni a Roma. L’uso dei tre nomi però, fino al 150 a.C., era riservato ai nobili, e quindi forse Plauto prende in giro quest’usanza gentilizia.
Secondo Varrone, Plauto si impoverì facendo il mercante e dovette poi girare la macina in un mulino, ma si ritiene che queste affermazioni siano deduzioni sbagliate: poiché Plauto aveva parlato di queste cose nelle sue opere, si è poi ritenuto che egli dovesse averne fatta diretta esperienza.
OPERA
LE COMMEDIE
Tito Maccio Plauto scrive solo PALLIATE, traduce e riadatta i copioni attici della commedia nuova (Menandro, Dìfilo, Filèmone). La sua attività va dal 218 a.C. (inizio della seconda guerra punica) al 186-184 a.C., cioè dal Senatus Cunsultum de Baccanalibus (in cui si fa cenno nella CASINA), all’anno della sua morte.
TITOLI:
Nel II sec. a.C. circolavano sotto il nome di Plauto 130 commedie. A stabilire quelle autentiche furono il grammatico Elio Stilone, il tragediografo e filologo Accio, ma soprattutto Marco Terenzio Varrone, che stilò una lista di 21 commedie certe, più altre 20 incerte.
Nel II sec. d.C. si leggevano ormai solo le commedie varroniane, le quali furono raccolte in un unico codice nel IV-V sec. e che sono di cronologia incerta.
TEMI:
La comicità è data dal fatto che lo spettatore si sente superiore ai ridicoli personaggi, si hanno l’effetto sorpresa e la parodia dell’epico.
Nel 217 a.C. venne rifondata e fissata la FESTA DEI SATURNALIA che, già non estranea alle forme recitate, divenne l’occasione farsesca per eccellenza, il giorno in cui i rapporti tra servo e padrone si invertivano, non c’erano limiti nel mangiare e nel bere, veniva sorteggiato un “re” di bisboccia. Queste feste erano uno specchio rovesciato della società romana.
Quest’atmosfera ricalca quella delle commedie plautine, in cui lo “ius” è affidato sempre ai personaggi meno adatti a detenerlo. Plauto non usa una CONTAMINAZIO (=mescolanza e ripresa da altre commedie), ma libera inventiva, anche a discapito dell’organicità.
Si ricorre spesso all’espediente del METATEATRO: è un teatro nel teatro. Il servo furbo organizza a sua volta una farsa (ponendosi come doppio di Plauto sulla scena), per permettere al giovane padrone di conquistare la giovane (spesso una cortigiana) che egli ama. Il servo delinea la beffa con qualcosa che potrebbe assomigliare a un “canovaccio” teatrale. La scena richiama il gusto della farsa e dell’Atellana.
La palliata si fa quindi un genere misto: la regolarità della commedia attica si unisce all’irregolarità della farsa-palliata ideata nella scena dal servo furbo. Tale figura viene eroizzata.
Si tratta spesso di una commedia degli equivoci, con l’uso del DOPPIO che crea confusione e comicità.
Il tema centrale in Plauto è la PARODIA DELL’ALTO (etica, politica, religione) e l’ESALTAZIONE DEL BASSO (gola, sesso)
AMBIENTAZIONE:
Una piena libertà espressiva derivava dall’ambientare le commedie in Grecia e in luoghi esotici. I costumi greci mascheravano la critica diretta ad assurdità e comportamenti immorali, a cui in realtà il pubblico di Roma non era estraneo. Ci sono inoltre molti riferimenti a usanze romane (giochi di parole, nome delle istituzioni, ecc…). L’elemento romano era rappresentato in un momento di rottura dell’illusione scenica: gli attori si rivolgevano direttamente al pubblico e commentavano i problemi di attualità.
LINGUA E STILE:
Si trovano spesso paragoni con l’epica del ciclo troiano.
Il modello di Tito Maccio Plauto era la commedia attica nuova, che non presentava parti cantate. Egli però le inserisce: c’erano parti recitate in SENARI GIAMBICI dette “DEVERBIA”, e parti in settenari trovaici che potevano essere accompagnate musicalmente: “CARMINA”. Troviamo anche vere e proprie parti cantate dette “MUTATIS MODI CANTICA”, nelle quali si alternano versi lunghi e brevi.
La musica deriva dal genere della SATURA e dall’influsso della tragedia.
C’è sempre un andamento musicale dell’azione: si presenta una serie di temi ricorrenti che si sviluppano durante l’azione, fungendo da metafore-guida.
Plauto ricorre anche a numerose INVENZIONI VERBALI e a nomi parlanti per i personaggi. Essi a volte servono per richiamarne il carattere, oppure per esprimere prese in giro attraverso calchi da altre lingue (greco, persiano).
I personaggi si esprimono in un linguaggio vivace e incalzante, ma anche molto ARTIFICIOSO. Essi hanno ruoli fissi ed estremizzati fino alla caricatura, mentre in Menandro si avrà una maggiore introspezione psicologica.