Eneide libro IV traduzione letterale 450-520
Libro IV traduzione fedele al testo. Ormai deciso a partire, Enea si è dimostrato irremovibile alle preghiere della regina Didone. Ella decide allora di coinvolgere la sorella in un ambiguo rito magico, sospeso tra la volontà di superare il dolore e la rassegnazione di darsi la morte. Il pathos si accresce sempre di più, in questi versi di alta poesia.
Eneide libro IV traduzione letterale:
I funesti presagi di Didone:
v. 450 Allora poi l’infelice Didone, atterrita dai fati,
chiede la morte; prova fastidio a guardare la volta del cielo.
Perché porti a termine ancora di più [il proposito] iniziato e abbandoni la luce,
ecco che vede, mentre poneva le offerte sopra gli altari fumanti d’incenso,
(orribile a dirsi!) i liquidi sacri diventare neri
v. 455 e i vini versati mutarsi in sangue funesto.
Non parlò di questa visione a nessuno, nemmeno a sua sorella.
Inoltre c’era nel palazzo un tempio di marco
del primo marito, che ella venerava con ammirabile devozione
avvolto con candide bende e fronda votiva:
v. 460 da qui le sembrò di sentire voci e parole del marito che la chiamavano,
quando la notte oscura avvolgeva la terra;
e le sembrò che il gufo solitario dai tetti col suo lugubre canto
spesso si lamentasse ed emettesse lunghi lamenti in pianto;
e inoltre molti presagi di antichi indovini
v. 465 la terrorizzavano con terribili ammonimenti. Lo stesso Enea insegue lei furente
nei sogni, crudele; e sempre gli sembra di essere lasciata
sola, di percorrere una lunga via senza compagni
e di ricercare i Tirii in una terra deserta:
come Penteo fuori di sé vede schiere di Eumenidi
v. 470 e un sole duplicato e doppia mostarglisi Tebe,
o Oreste figlio di Agamennone, perseguitato sulle scene
quando fugge la madre armata di fiaccole e di neri serpenti
e sulla soglia siedono le Dire vendicatrici.
Dunque, quando accolse le furie (fu colta dal furore), vinta dal dolore
v. 475 e decise di morire, fra sé riflette sul tempo e il modo
e si rivolge con le parole alla triste sorella
nasconde il proposito nel volto e rasserena la fronte con la speranza:
“Ho trovato, o sorella (congratulati con tua sorella) la via
che lo renda a me oppure sciolga da lui me che amo.
v. 480 Presso i confini dell’Oceano e dove il sole cade
si trova l’estrema regione degli Etiopi, dove il gigantesco Atlante
sostiene sulle spalle la volta del cielo adorna di stelle ardenti:
da qui mi si è presentata una sacerdotessa di stirpe Massila,
custode del tempo delle Esperidi, colei che dava il pasto al dragone
v. 485 e sorvegliava i sacri rami sull’albero,
spargendo umido miele e soporifero papavero.
Costei promette di liberare gli animi con gli incantesimi,
quelli che voglia, viceversa di immettere duri affanni in altri,
di fermare l’acqua ai fiumi e invertire il corso delle stelle (lett. volgere le stelle indietro);
v. 490 di notte evoca i Mani, tu vedrai scuotersi
la terra sotto ai piedi e gli orni discendere dai monti.
Lo giuro (lett. chiamo a testimoni) sugli dei e su te, cara [sorella], e sul tuo
dolce capo, che io mi rivolgo mal volentieri alle arti magiche.
Tu in segreto innalza un rogo nella parte interiore [del palazzo] all’aperto
v. 495 e mettici sopra (superimponas) le armi dell’uomo, che egli lasciò appese nella camera,
infame, e tutte le spoglie e il letto nuziale
sul quale andai in rovina: voglio (iuvat) distruggere tutti
i ricordi dell’uomo maledetto e così mostra la sacerdotessa”.
Con tali istruzioni, che già nascondono il tragico proposito di morte, Anna e la sacerdotessa si apprestano a svolgere il rito:
Dopo aver così parlato tace; il pallore immediatamente le si diffonde sul viso.
v. 500 Anna tuttavia non sospetta che la sorella nasconda la morte sotto questi riti insoliti,
né accoglie nel pensiero (=immagina) una così grande follia
o teme conseguenze più gravi che alla morte di Sicheo.
Dunque esegue gli ordini.
Ma la regina, eretto un grande rogo nella parte interna all’aperto
v. 505 [fatto] di pino e di leccio tagliato,
riveste il luogo di ghirlande e lo corona di fronda
funebre: sopra pone le spoglie e la spada abbandonata
e sul letto l’effige [di lui], consapevole del futuro (lett. non ignara. Litote)
Intorno stanno gli altari, e la sacerdotessa sciolta i capelli (coi capelli sciolti)
v. 510 invoca trecento volte a gran voce gli Dei, Erebo e Caos
e la triforme Ecate, i tre aspetti della vergine Diana.
Aveva sparso anche false acque della fonte dell’Averno,
e si cercano, mietute alla luce della luna con falci di bronzo
erbe appena mature con succo di nero veleno;
v. 515 si ricerca anche strappata dalla fronte di un cavallo appena nato
e sottratta alla madre l’escrescenza che fa innamorare.
Lei stessa [sparge] la farina sacra (molam) e con le mani pie sopra gli altari
sciolta un solo piede dalle calzature, slacciata nella veste,
chiama a testimoni gli Dei decisa a morire e le stelle consapevoli della sua sorte:
v. 520 allora, se c’è qualche dio (numen) giusto e riconoscente
che abbia cuore chi ama di sentimento non corrisposto, lo prega.