Eneide libro IV traduzione letterale vv. 280-392
Eneide libro IV traduzione letterale della parte centrale della storia tra Enea e Didone. Ammonito dal re degli Dei, tramite il messaggero Mercurio, il capo dei Troiani ricorda quali sono i compiti dati dai fati e decide di partire con la sua flotta. La regina, che non medita una sciagura così grande, si affligge furibonda contro l’infedele straniero.
Eneide libro IV traduzione letterale:
Preparativi per la partenza:
Ma invero Enea ammutolì sconvolto a quella vista
v. 280 i capelli gli si drizzarono per l’orrore e la voce rimase in gola.
Arde di andarsene (in fuga) e di lasciare le dolci terre,
spaventato da un così grande ammonimento e dall’ordine degli dei.
Ahimè che può fare? Con quale discorso adesso oserà blandire la regina furibonda?
Quali parole sceglierà per prime?
v. 285 e adesso rivolge la mente veloce ora qua ora là,
lo trascina in varie direzioni e lo rivolge ad ogni proposito.
A lui che dubitava queste sembrò la decisione migliore:
chiama Mnesteo Sergesto e il forte Seresto,
che allestiscano in segreto la flotta e radunino i compagni alla spiaggia
v. 290 e preparino le armi e tengano nascosta quale sia la causa di queste innovazioni
[dice loro] che lui intanto, poiché la buona Didone
è ignara e non si aspetta che un così grande amore sia rotto,
tenterà di avvicinarla e [cercherà] quali siano i momenti migliori per parlare,
quale sia il modo migliore alle circostanze. Subito tutti
v. 295 obbediscono felici al comando ed eseguono gli ordini.
La regina presente l’inganno e accusa lo spergiuro Enea:
Ma la regina indovinò l’inganno (chi potrebbe ingannare un amante?)
e indovinò per prima le mosse future,
lei che temeva tutto anche ciò che era sicuro. L’empia fama a lei furente
riferì le stesse cose, che si allestiva la flotta e si preparava la partenza.
v. 300 Sconvolta nell’animo infuria e, agitata, per tutta la città
impazza, come una baccante (Thyias) eccitata dal movimento dei sacri arredi,
quando, udito il grido di “Bacco!” le orgie triennali la stimolano
e il notturno Citerone chiama col suo clamore.
Infine si rivolge per prima (Ultro) ad Enea con queste parole:
v. 305 “Sperasti anche di poter tenere nascosto, o spergiuro, una così grande
infamia e di andartene in silenzio dalla mia terra?
Non ti trattiene il nostro amore, né la tua mano destra concessa un tempo
né Didone destinata a morire di morte crudele?
Anzi allestisci la flotta anche con la stagione invernale
v. 310 e ti affretti ad andare per l’alto [mare] in mezzo alle tempeste,
o crudele? Perché? Se non ti dirigessi verso terre straniere e dimore
sconosciute, e Troia antica fosse ancora in piedi,
ti dirigeresti verso Troia con la flotta attraverso un mare burrascoso?
Dunque fuggi me? Io per queste lacrime e per la tua destra
v. 315 (dal momento che nient’altro ho serbato a me misera)
per la nostra unione, per le nozze appena iniziate,
se mai ho meritato qualcosa di buono da te, o [hai avuto] qualcosa di gradito
da parte mia, abbi pietà di questa casa che crolla,
ti prego, se qualche posto c’è ancora per le preghiere, abbandona il tuo proposito.
v. 320 A causa tua i popoli della Libia e i tiranni dei Nomadi
mi odiano, i Tirii [mi sono] ostili; sempre a causa tua
si è estinto l’onore e il mio buon nome di prima, per il quale sola raggiungevo le stelle,
In balia di chi abbandoni me in fin di vita, straniero?
Poiché questo solo nome mi resta da quello di marito.
v. 325 Che cosa aspetto? Forse che il fratello Pigmalione distrugga le mie mura
o che il Getùlo Iarba mi porti via prigioniera?
Se soltanto un figlio (suboles) avessi generato da te
prima della partenza, se qualche piccolo Enea giocasse nel palazzo,
che mi richiamasse te almeno nell’aspetto,
v. 330 non mi sentirei del tutto ingannata e abbandonata”.
Enea, combattuto tra il sentimento e il volere dei fati, risponde all’amata fuori di sé:
Aveva parlato. Quello teneva gli occhi fissi agli ordini di Giove
e sforzandosi nascondeva l’affanno nel cuore.
Infine riporta poche parole: “Io non negherò mai che tu abbia avuto molti meriti
che tu potresti elencare parlando, o regina,
v. 335 e non mi rincrescerà di ricordarmi di Elissa,
finché avrò coscienza di me, finché la vita reggerà queste membra.
Sulla questione parlerò brevemente. Io non ho sperato di nasconderti con l’inganno
questa partenza (non pensarlo), né mai ho posto avanti
fiaccole nuziali o sono venuto in simili patti.
v. 340 Se i fati mi permettessero di condurre la vita secondo la mia
volontà e di alleviare i miei affanni a mio piacimento,
per prima cosa abiterei la città di Troia con le care reliquie dei miei,
l’alto palazzo di Priamo sarebbe ancora in piedi
e di mia mano avrei costruito una nuova Pergamo per i vinti
v. 345 Ma adesso il Grinéo Apollo e i responsi di Licia
mi ordinano di raggiungere la grande Italia, l’Italia;
questo è l’amore, questa è la patria. Se le rocche di Cartagine
trattengono te che sei fenicia e la vita di una città libica,
perché dunque neghi che i Teucri si stabiliscano nella terra Ausonia?
v. 350 Anche a noi è concesso ricercare regni stranieri.
L’immagine del padre Anchise, ogni volta che con le umide ombre
la notte ricopre la terra, ogni volta che sorgono gli astri infuocati,
mi rimprovera e mi spaventa nel sonno, adirata;
[mi rimproverano] il figlio Ascanio e l’ingiuria [che faccio] a una persona cara,
v. 355 io che lo privo con la frode del regno di Esperia e dei campi concessi dai fati.
Adesso perfino il messaggero degli Dei mandato da Giove in persona
(lo giuro sulle nostre due teste) veloce riporta gli ordini nell’aria;
io stesso vidi il Dio in una luce splendente
che entrava in questi muri e ho assorbito con queste orecchie la voce
v. 360 Smetti di tormentare te e me con questi lamenti:
non cerco l’Italia di mia volontà.
Di fronte alla fredda replica del condottiero troiano, la regina gli scaglia addosso tutto il suo rancore:
Mentre diceva queste parole già da tempo ella lo guardava ostile
rivolgendo gli occhi da una parte e dall’altra, tutto lo squadra
con occhi silenziosi e così, accesa d’ira, esclama:
v. 365 “Non ti fu madre una Dea, né Dardano fu il fondatore della stirpe,
o spergiuro, ma ti generò il Caucaso ispido d’aspre rocce
e tigri Ircane ti porsero le mammelle.
Infatti a che pro fingo o quali maggiori [affronti] mi riservo?
Forse egli si è intenerito al mio pianto? Forse mi ha rivolto gli occhi?
v. 370 Forse commosso ha versato lacrime o ha provato compassione per chi lo ama?
quali [oltraggi] considererò più gravi di questi? Ormai né la grande Giunone
né il padre Saturnio guardano queste cose con sguardo giusto.
In nessun luogo è sicura la lealtà (= non c’è più lealtà al mondo). Lo raccolsi naufrago dalla spiaggia, miserabile,
e, folle, lo misi a parte del mio regno.
v. 375 Ho salvato la flotta distrutta e i compagni dalla morte.
Ahi, fuori di me sono portata dalle furie! (=ahi sono in preda a una furia rabbiosa!) Adesso l’augure Apollo,
adesso i responsi di Licia, adesso perfino, inviato da Giove in persona,
il messaggero degli Dei riporta terribili ordini attraverso l’aria.
Senza dubbio questa fatica spetta agli dei Superni, questa preoccupazione
v. 380 turba la loro quiete. Io non ti trattengo né ribatto le tue parole:
cerca l’Italia con il favore dei venti, raggiungi i regni attraverso le onde;
spero davvero che in mezzo agli scogli, se gli dei giusti hanno ancora qualche potere,
tu sconterai la pena e spesso Didone per nome
invocherai. Anche assente io ti seguirò con nere fiaccole
v. 385 e, quando la fredda morte avrà separato le membra dall’animo,
in ogni luogo vagherò come fantasma. Sconterai la pena, miserabile!
Io lo verrò a sapere, e questa notizia giungerà a me fra i Mani profondi”.
Con queste parole interrompe d’un tratto il discorso e
mesta fugge la luce e si volta e si sottrae allo sguardo,
v. 390 lasciandolo molto titubante per il timore e desideroso
di dire molte cose. Le ancelle la raccolgono e portano il corpo svenuto
nella camera marmorea e la adagiano sul letto.