Pietro Bembo

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PIETRO BEMBO

pietro bembo

VITA (1470-1547)

Pietro Bembo è il più significativo rappresentante dell’umanesimo volgare.
Nacque a Venezia nel 1470. Fin dalla fanciullezza il padre lo educò alle lettere, lo condusse con sé a Firenze, dove fu ambasciatore dal 1478 al 1480. Ritornato a Venezia, lo affidò ai migliori maestri e nel 1492 lo mandò a Messina a studiare il greco sotto la guida del dottissimo Costantino Lascaris. Decisivo fu però il periodo trascorso a Ferrara, tra il 1497 e il 1505: alla corte estense egli affinò le sue native doti di gentilezza, la sua vocazione di letterato e artista. Visse la brillante vita di corte e conobbe numerosi letterati, tra cui l’Ariosto.
Scriveva frattanto eleganti versi latini e cominciò anche a comporre in volgare, rinnovando la tradizione petrarchesca: l’occasione di questa fioritura poetica fu l’amore per Lucrezia Borgia, che conobbe nel 1502. Nel 1506, dopo una breve permanenza a Roma, si recò alla corte di Urbino, altra splendida corte rinascimentale, e vi rimase fino al 1511.
Qui entrò in relazione con Castiglione e con Giovanni de’Medici, che nel 1512, divenuto Papa con il nome di Leone X, lo chiamò a Roma a far parte della Segreteria Pontificia.
Vi rimase fino al 1519 e compose epistole e “brevi” in nome del Papa, in un elegantissimo latino ciceroniano. Nel 1519 le ristrettezza finanziarie e le tristi condizioni fisiche e di spirito gli fecero sentire stanchezza della vita cortigiana, e un grande desiderio di solitudine e di pace.
Si ritirò dunque in una sua villa a Padova, dove soggiornò stabilmente tra il 1521 al 1530, attendendo alla rielaborazione del suo libro più importante, LE PROSE DELLA VOLGAR LINGUA, alla revisione dei suoi scritti in latino e in volgare e allo studio dell’amato Petrarca.
La sua fama era ormai grande. Il governo di Venezia lo incaricò di scrivere la storia di Venezia ed egli compose il RERUM VENETARUM HISTORIAE LIBRI XII, nel suo elegante latino, e lo tradusse poi in volgare. Nel 1539 fu nominato cardinale dal Papa Paolo III Farnese e si trasferì di nuovo a Roma, dove morì nel 1547.
Siamo sulla via del CONCILIO DI TRENTO (1545-1563). Ci sono già tendenze autoriformiste, di chiusura verso i protestanti. Pietro Bembo tarda a venire eletto cardinale a causa delle sue audaci poesie d’amore. Egli diventa poi vescovo di Gubbio nel 1542-43, alla morte di Federico Fregoso.
In questo periodo prevale una TENDENZA EVANGELICA, ovvero un cattolicesimo aperto alle esigenze moderate della riforma. Nei papati successivi questa posizione sarà punita.

OPERA

Pietro Bembo non ebbe fantasia originale, ma un vivo senso artistico e critico. Divenne guida del gusto contemporaneo, fissando alcuni principi fondamentali della poetica del Rinascimento maturo.
Cominciò la sua carriera come poeta e prosatore latino, imponendo due modelli che ebbero vastissima fortuna: Cicerone nella prosa; Virgilio nella poesia. Il suo è un ideale rigorosamente CLASSICISTICO, che tende a ricercare una poesia “perfetta”, armonica e composta nello stile, che indichi un’intima aristocrazia spirituale.

  • Fra le opere giovanili abbiamo la traduzione da GORGIA: l’ELOGIO DI ELENA, in cui si loda la forza della parola.
  • Il suo primo dialogo in latino è il DE AETNA del 1406, vulcano che egli aveva visto durante un viaggio in Sicilia. Il dialogo ha come protagonisti Pietro e suo padre.
  • La prima opera in volgare sono invece gli ASOLANI del 1505 (1496-1505). Si tratta di un dialogo in 3 LIBRI, in cui si parla d’amore. E’ una situazione reale di corte, anche se a Venezia una corte non esisteva. L’autore immagina infatti che il dialogo si svolga nella villa di Asolo, dimora di Caterina Cornaro, ex regina di Cipro, in occasione delle nozze di una delle sue damigelle, nel 1496.
    Tre giovani e tre gentil donne si incontrano e, mentre passeggiano, parlano dell’amore, dei suoi pregi e dei suoi difetti.
    A turno i tre personaggi maschili esprimono il loro punto di vista:
    1) PEROTTINO (diminutivo di Pieretto): si lamenta dei tormenti che l’amore produce.
    2) GISMONDO: esalta l’amore in tutti i suoi aspetti.
    3) LAVINELLO: espone l’aspetto affettuoso e sentimentale dell’amore, ma non nei suoi aspetti erotici. Racconta di aver incontrato un ermeta che gli ha parlato dell’amore spirituale. Ci si riallaccia all’AMOR PLATONICO della filosofia neoplatonica, tema che verrà ripreso nel CORTEGIANO di Castiglione, in cui verrà trattato dal personaggio di Bembo stesso.
    Il titolo “GLI ASOLANI” ricalca le TUSCOLANAE (DISPUTATIONES) di Cicerone, e la scelta evidenzia il significato umanistico dell’opera. Concettualmente, il dialogo è un’esaltazione della ragione, grazie alla quale l’uomo giunge alla PERFEZIONE MORALE, che consiste nel dominio delle passioni e nella piena attuazione della propria natura divina.
    Nel pensiero del Cinquecento, l’amore platonico tenta di riconciliarsi con gli IDEALI CRISTIANI.
    Il volgare usato da Bembo è il toscano di Boccaccio, anche se egli non è considerato un “vero scrittore”, perchè ha inquinato la lingua con molti dialetti.
    GLI ASOLANI furono scritti in parte a Ferrara (al 1502 risale l’avventura amorosa con Lucrezia Borgia). Nel 1505 furono stampati con l’editore ALDO MANUZIO.
    Ciò che noi leggiamo è però un’altra edizione ritoccata, del 1530.
  • LE PROSE DELLA VOLGAR LINGUA sono un altro importante dialogo, la cui scelta linguistica dominerò in Italia. I modelli letterari scelti da Pietro Bembo, Petrarca e Boccaccio, entrano in polemica con ciò che sosteneva Giovan Francesco Pico della Mirandola, cioè il PLURILINGUISMO DEI MODELLI.
    Bembo faceva annotazioni sulla lingua già nel 1501, ma l’opera si sviluppa negli anni trascorsi alla corte di Urbino, 1505-1512, e in quelli successivi.
    Tra il 1510 e il 1512 Bembo interrompe la stesura delle PROSE DELLA VOLGAR LINGUA, che avevano come obiettivo il formare una grammatica del volgare.
    Il suo primato viene però assegnato a Francesco Fortunio che, nel 1517, pubblica la sua grammatica, ad Ancona.
    Le PROSE vengono riprese tra il 1520 e il 1524: vengono composte in 3 LIBRI e presentate a Clemente VII (Giulio de’Medici) nel 1524. Nel 1525 l’opera viene stampata e rivoluziona tutta la questione sulla lingua in Italia.
    L’opera è dedicata a Clemente VII ed è un dialogo più storico e concreto degli ASOLANI.TRAMA: Alla fine del 1512 si incontrano a casa Bembo: Ercole Strozzi, Carlo Bembo (fratello di Pietro), Giuliano De’Medici, Federico Fregoso.
    1°LIBRO: Vengono affermati i diritti e la dignità del volgare. Riguardo al problema di quale dialetto usare tra quelli italiani, Pietro Bembo afferma che va scelto il TOSCANO. Non intende però il toscano mutevole della lingua parlata, bensì quello letterario, fissato dai grandi scrittori: Dante, Petrarca e Boccaccio. I veri modelli per la poesia e per la prosa sono in realtà gli ultimi due.
    2° LIBRO: Bembo illustra le ragioni dell’eccellenza dei due modelli. Essi valgono non tanto per il contenuto, quanto per lo STILE, caratterizzato da: ELEZIONE, cioè scelta di parole o costrutti dotati di gravità, varietà, piacevolezza; SAPIENTE DISPOSIZIONE delle parole, CONCORDANZZA tra argomento trattato e stile.
    Nella seconda parte del libro, l’autore svolge una minuziosa precettistica intorno all’eccellezna dello stile, parlando di suoni, metri, accenti.
    3°LIBRO: è delineata una grammatica della nostra lingua.
  • OPERE “ERUDITE”:
    Poliziano richiede al Bembo di collazionare per lui un’opera antica. Bembo pubblicò nel 1501-1502 il CANZONIERE di Petrarca e la COMMEDIA di Dante (che lui chiama “TERZE RIME“). Li pubblica come TASCABILI e con CARATTERI ROTONDI.RIME: ebbero 3 edizioni, le prime due curate dal Bembo nel 1530 e nel 1535, la terza uscita postuma nel 1548. Esse mettono in pratica i modelli stilistici teorizzati. Rari sono i momenti di autentica poesia, ma non si tratta di fredda imitazione, poiché Bembo sentiva una vera affinità con Petrarca, modello di stile raffinato e di evoluzione spirituale tramite la poesia.

    In occasione della morte di Guidibaldo, nel 1508, Bembo scrive RIGUARDO A GUIDUBALDO DA MONTEFELTRO ED ELISABETTA GONZAGA, DUCHI DI URBINO. E’in forma di dialogo e in latino. Un insieme di persone che si ritrovano a Roma parlano del duca, approfittando di una lettera di Federico Fregoso che riguarda questo evento.
    Coinvolge personaggi Romani e di Urbino. Si sottolinea che i duchi di Urbino sono protagonisti di queste due scene e sanciscono un legame tra le due città. Sono protagonisti solidali col papa, Giulio II, che consigliò ai duchi di adottare suo nipote Francesco Maria della Rovere, presente anche nel CORTEGIANO.
    Il Bembo traduce questo dialogo in volgare e ne abbiamo due manoscritti. Quelli di Urbino andarono nella Biblioteca Varicana e ne rimane ancora una copia. Un altro è nella Biblioteca Ambrosiana a Milano, ma ha una traduzione un po’ diversa.

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