Cena di Trimalchione, traduzione letterale completa 26-35

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Cena Trimalchionis, traduzione letterale completa 26-35

Traduzione dal latino completa dei paragrafi 26-35 del Satyricon di Petronio, parte I della cosiddetta “Cena di Trimalchione”.

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[…] Era giunto ormai il terzo giorno, quello che è l’attesa della cena di liberazione, ma noi già colpiti da molte sevizie, preferivamo piuttosto la fuga che l’attesa. E così mentre avviliti cercavamo in che modo potessimo evitare l’imminente tempesta, un servo di Agamennone interruppe noi che eravamo nel dubbio e disse: “Come? Voi non sapete presso chi si pranzerà oggi? Trimalchione, uomo davvero pregevole. Ha nella stanza del triclinio un orologio e un trombettiere predisposto, così che immediatamente sappia quanto [tempo] ha perso della vita!”
Dunque ci prepariamo con cura, dimentichi di tutte le nostre sventure e ordiniamo che Gitone, che svolgeva il suo servizio in modo diligentissimo, di seguirci nel bagno prestando attenzione.
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Noi nel frattempo iniziamo ancora vestiti a vagare, anzi piuttosto a fare battute e ad avvicinarci ai cerchi (dei giocatori), quando d’un tratto vediamo un vecchio calvo, vestito con una tunica rosso vivo, che gioca con una palla in mezzo a giovani dai lunghi capelli. E non ci avevano attratto allo spettacolo tanto i ragazzini, sebbene ce ne fosse motivo, quanto lo stesso padrone, che si allenava in ciabatte con una palla verde porro. Né risollevava più quella una volta che era caduta a terra, ma un servo aveva un cesto pieno e ne riforniva ai giocatori. Notammo inoltre una cosa straordinaria: infatti due eunuchi stavano alle parti opposte del cerchio, dei quali uno teneva un vaso da notte d’argento, l’altro contava le palle, non certo quelle che passavano tra le mani nel gioco del rimbalzo, ma quelle che cadevano a terra. Mentre dunque guardavamo ammirati tali raffinatezze, giunse a corsa Menelao: “Questo è, disse, quello presso cui vi mettete a tavola, e anzi già vedete il principio della cena”. E non appena Menelao non parlava più, Trimalchone fece schioccare le dita, a quel segnale l’eunuco pose il vaso da notte sotto a lui che giocava. Alleggerita la vescica, quello richiese dell’acqua per le mani, e si asciugò le dita bagnate sulla testa di un valletto.

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Sarebbe lungo enumerare tutte le cose singolarmente. E quindi entrammo nel bagno, e poi sciolti dal sudore subito uscimmo verso [l’acqua] fredda. Trimalchione, cosparso di unguento, già si asciugava non con panni di lino, ma con asciugamani fatti di lana morbidissima. Nel frattempo tre massaggiatori bevevano vino Falerno davanti a lui, e, poiché quelli che litigavano ne versavano la maggior parte, Trimalchione diceva che questo andasse a suo vantaggio (=fosse un brindisi in suo onore). Poi, avvolto in un mantello scarlatto, fu posto su una lettiga preceduta da quattro servitori a piedi e da una specie di carrozzina, nella quale era trasportato il suo tesoruccio, un giovane attempato, cisposo, più mostruoso perfino del suo padrone Trimalchione. Mentre dunque era portato, un suonatore si avvicinò al suo capo con dei piccolissimi flauti e, come se gli volesse dire qualcosa in segreto nell’orecchio, suonò per tutto il viaggio. Noi seguiamo già colmi di ammirazione e giungiamo con Agamennone alla porta, sul cui stipite era fissata una targa con questa iscrizione: QUALUNQUE SERVO USCIRA’FUORI SENZA IL PERMESSO DEL PADRONE, RICEVERA’CENTRO FRUSTATE. All’ingresso invece stava l’oste in persona vestito di verde, stretto da una cintura rosso ciliegia, che puliva piselli in una bacinella argentata. Sopra la soglia invece era appesa una gabbia d’oro, nella quale una gazza variopinta salutava coloro che entravano.

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Tra l’altro io, mentre guardo stupito tutte le cose, per poco non mi ruppi una gamba. Alla sinistra di coloro che entravano, infatti, non lontani dallo sgabuzzino del portiere, un cane enorme, legato alla catena, era dipinto sulla parete e sopra, a lettere cubitali, era scritto ATTENTI AL CANE. Dunque i miei compagni risero di me. Io invece, recuperato il fiato, non smisi di osservare scrupolosamente l’intera parete. C’era inoltre una scena di caccia con le targhette dipinte, e lo stesso Trimalchione, con lunghi capelli, teneva un caduceo ed entrava a Roma sotto la guida di Minerva. Da qui, in che modo e come avesse appreso l’arte di far di conto, fino a quando diventò tesoriere, tutte queste cose lo scrupoloso pittore aveva reso, con una didascalia. Ormai nella parte finale del portico, invece, sollevatolo per il mento, Mercurio [lo] rapiva verso un seggio sublime. Accanto a sua disposizione c’era la Fortuna ricca con il suo corno straripante e le tre Parche che filavano fili d’oro. Notai anche nel portico un gruppo di schiavi cursori che si esercitava con il maestro. Inoltre vidi in un angolo un grande armadio, sulla cui parte superiore in un’edicola erano posti Lari d’argento e una statua marmorea di Venere e una pisside d’oro non minuscola, nella quale dicevano che fosse conservata la [prima] barba di quello. Dunque iniziai a interrogare l’usciere, su quali pitture ci fossero nel mezzo [dell’affresco]. “L’Iliade e l’Odissea, disse, e lo spettacolo di gladiatori [offerto da] Lenate”.

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Non è possibile fermare l’attenzione su tanta moltitudine <…> Noi ormai eravamo giunti nella stanza del triclinio, nella cui anticamera l’amministratore riceveva i conti. E fatto che principalmente mi meravigliò, sugli stipiti del triclinio erano appesi dei fasci littori con le scuri, la cui parte finale terminava quasi come un rostro bronzeo di nave, su cui era scritto: A GAIO POMPEO TRIMALCHIONE, SEVIRO AUGUSTALE, IL TESORIERE CINNAMO. Sotto la stessa iscrizione anche una lucerna a due becchi pendeva dal soffitto, e su entrambi gli stipiti erano appese due tavolette, delle quali l’una, se ben ricordo, aveva questa iscrizione: IL 31 DICEMBRE IL NOSTRO GAIO CENA FUORI, l’altra aveva dipinte le immagini del corso della luna e di sette stelle; e quali giorni fossero buoni e quali nefasti, erano segnati con borchie differenti.
Saziati da queste bellezze, mentre tentiamo di entrare nel triclinio, uno tra i valletti, che era preposto a questo incarico, esclamò: “Col piede destro!”. Certamente tememmo un po’, che qualcuno di noi valicasse la soglia contrariamente all’ordine. Poi, appena all’unisono movemmo i piedi destri, un servo spogliato si gettò ai nostri piedi e iniziò a pregare, che lo sottraessimo alla punizione: [sosteneva che] non era grande il peccato, a causa del quale era in pericolo di punizione; infatti a lui era stato rubata in bagno la veste del tesoriere, che a stento saranno stati dieci sesterzi. Dunque ritirammo i nostri piedi destri, e preghiamo il tesoriere che contava le monete d’oro nell’atrio di perdonare il servo. Quello alzò il volto sprezzante e disse: “Non mi muove tanto il danno in sé, quanto piuttosto l’inettitudine di questo servo buono a nulla. Ha perso i miei abiti da pranzo, che per il mio compleanno un mio cliente mi aveva regalato un tempo, di porpora tiria senza dubbio, ma già lavati una volta. Che dire dunque? Ve lo regalo costui”.

[31]
Obbligati da tanta generosità, non appena fummo entrati nel triclinio, corse verso di noi quello stesso servo per il quale avevamo pregato, e riempì di baci numerosissimi noi stupiti, ringraziandoci per la nostra umanità. “Insomma, subito saprete, dice, a chi avete concesso il favore. Il vino del padrone è il ringraziamento del servo”.
Infine dunque ci sdraiammo, mentre valletti alessandrini versavano acqua ghiacciata sulle mani, e altri che li seguivano toglievano ai nostri piedi le pellicole delle unghie con grande abilità. Né certo in qusto compito tanto fastidioso tacevano, ma nello stesso tempo cantavano. Io volli far la prova se l’intera servitù cantasse, e perciò richiesi una bevanda. Un attentissimo valletto si presentò a me con un canto non meno stridulo, e [così faceva] chiunque fosse richiesto di qualcosa da dare. Lo avresti creduto un coro di pantomima, non un triclinio di gente per bene. Tuttavia fu portato un antipasto molto raffinato; infatti ormai tutti eravamo sdraiati, eccetto il solo Trimlachione, a cui, secondo un costume insolito, era riservato il primo posto. Del resto nell’antipasto era posto un asinello di bronzo corinzio con una bisaccia a due tasche, che aveva olive in una parte chiare, nell’altra scure. Coprivano l’asinello due piatti, sui cui orli era iscritto il nome di Trimalchione e la caratura dell’argento. Piccole impalcature inoltre saldate sostenevano ghiri cosparsi di miele e polvere di papavero. C’erano (letteralmente “ci furono”  n.d.T.) anche salsicce scoppiettanti poste sopra una graticola d’argento e sotto la griglia prugne siriane con chicchi di melograno.

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