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In Didone nasce la passione
Il IV libro dell’Eneide è quello in cui vediamo sorgere e consumarsi la passione di Didone, la bella regina cartaginese, per Enea, approdato con la sua flotta nelle sue terre.
Nei primi novanta versi di Eneide IV libro assistiamo allo sbocciare della passione, dapprima occulta e poi del tutto incontrollabile, nel cuore della regina.
Didone è stata infatti tratta in inganno da Venere, protettrice di Enea, che le ha posto in grembo Cupido, nelle sembianze del figlioletto dell’eroe troiano, Ascanio.
Gli Dei meditano inganni contro la sventurata regina, soltanto per assecondare od osteggiare il volere dei fati.
Il suo dramma tutto umano è ancora oggi uno dei più affascinanti e ripresi della letteratura mondiale.
Nei versi 1-53 assistiamo alla confessione dell’amore di Didone alla sorella Anna. La regina è combattuta tra la fedeltà giurata in memoria del primo marito, Sicheo, e il fascino del nuovo “ospite”, che, bellissimo, narra eroiche imprese.
Anna, con le sue parole di conforto, la incoraggia ad assecondare i suoi sentimenti e ad accogliere benevolmente il meraviglioso ospite giunto, Enea.
Ha così inizio la tragedia d’amore della regina di Cartagine.
Testo originale latino Eneide vv. 1-53
At regina gravi iamdudum saucia cura
vulnus alit venis et caeco carpitur igni.
multa viri virtus animo multusque recursat
gentis honos; haerent infixi pectore vultus
v. 5 verbaque nec placidam membris dat cura quietem.
postera Phoebea lustrabat lampade terras
umentemque Aurora polo dimoverat umbram,
cum sic unanimam adloquitur male sana sororem:
“Anna soror, quae me suspensam insomnia terrent.
v. 10 quis novus hic nostris successit sedibus hospes,
quem sese ore ferens, quam forti pectore et armis.
credo equidem, nec vana fides, genus esse deorum.
degeneres animos timor arguit. heu, quibus ille
iactatus fatis. quae bella exhausta canebat.
v. 15 si mihi non animo fixum immotumque sederet
ne cui me vinclo vellem sociare iugali,
postquam primus amor deceptam morte fefellit;
si non pertaesum thalami taedaeque fuisset,
huic uni forsan potui succumbere culpae.
v. 20 Anna fatebor enim miseri post fata Sychaei
coniugis et sparsos fraterna caede penatis
solus hic inflexit sensus animumque labantem
impulit. agnosco veteris vestigia flammae.
sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat
v. 25 vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras,
pallentis umbras Erebo noctemque profundam,
ante, pudor, quam te violo aut tua iura resolvo.
ille meos, primus qui me sibi iunxit, amores
abstulit; ille habeat secum servetque sepulcro.”
v. 30 sic effata sinum lacrimis implevit obortis.
Anna refert: “O luce magis dilecta sorori,
solane perpetua maerens carpere iuventa
nec dulcis natos Veneris nec praemia noris?
id cinerem aut manis credis curare sepultos?
v. 35 esto: aegram nulli quondam flexere mariti,
non Libyae, non ante Tyro; despectus Iarbas
ductoresque alii, quos Africa terra triumphis
dives alit: placitone etiam pugnabis amori?
nec venit in mentem quorum consederis arvis?
v. 40 hinc Gaetulae urbes, genus insuperabile bello,
et Numidae infreni cingunt et inhospita Syrtis;
hinc deserta siti regio lateque furentes
Barcaei. quid bella Tyro surgentia dicam
germanique minas?
v. 45 dis equidem auspicibus reor et Iunone secunda
hunc cursum Iliacas vento tenuisse carinas.
quam tu urbem, soror, hanc cernes, quae surgere regna
coniugio tali. Teucrum comitantibus armis
Punica se quantis attollet gloria rebus.
v. 50 tu modo posce deos veniam, sacrisque litatis
indulge hospitio causasque innecte morandi,
dum pelago desaevit hiems et aquosus Orion,
quassataeque rates, dum non tractabile caelum.”
Traduzione letterale vv. 1-53 Eneide IV libro:
Ma la regina già da tempo colpita da un grave affanno
nutre la ferita nelle vene ed è consumata da un fuoco nascosto.
Le ritornano in mente le molte virtù dell’uomo e il grande
onore della stirpe, rimango infissi nel petto il volto (lett. i volti)
v. 5 e le parole, né l’affanno concede un tranquillo riposo alle membra.
L’aurora del giorno dopo illuminava la terra con la lampada di Febo (= il sole)
e aveva già rimosso dal cielo l’umida ombra,
quando, fuori di sé, così si rivolge alla fedele sorella:
“Anna, sorella mia, quali visioni notturne spaventano me che sono in dubbio!
v. 10 Che ospite straordinario è giunto nel nostro palazzo,
quale mostrandosi nel viso, quanto dal forte petto e dalle [forti] armi!
Credo davvero – e non è vano il mio credere – che sia di stirpe divina.
Il timore rivela gli animi ignobili. Ahi, da quali
destini è stato trasportato! Quali guerre combattute cantava!
v. 15 Se non mi risiedesse nell’animo fisso e irremovibile
[il proposito] di non volermi legare in vincolo matrimoniale a nessuno
dopo che il primo amore ingannò me delusa con la morte,
se non avessi in odio il talamo e le fiaccole nuziali,
forse avrei potuto soccombere a quest’unica colpa /per questo solo forse avrei potuto soccombere alla colpa
v. 20 Anna, te lo confesserò infine, dopo la morte del povero marito Sicheo
e dopo che la casa fu insanguinata dalla strage fraterna,
egli soltanto ha toccato i miei sensi e mi ha smosso l’animo così da renderlo vacillante.
Riconosco i segni dell’antica fiamma.
Ma preferirei piuttosto che la terra profonda mi si aprisse davanti,
v. 25 o che il padre onnipotente mi trascinasse con la folgore alle ombre
le pallide ombre dell’Erebo e verso una notte profonda,
prima che io, o Pudore, ti violi o sciolga i tuoi giuramenti.
Quello che per primo mi congiunse a sé, tutto il mio amore
si è portato via; quello lo abbia con sé e lo conservi nel sepolcro”
v. 30 Dopo aver così parlato riempì il seno di lacrime sgorgate.
Anna risponde: “O tu che sei più cara della luce per tua sorella,
sola passerai l’intera giovinezza affliggendoti,
e non conoscerai (noris = noveris) i dolci figli, né i premi di Venere?
Credi che di questo si occupino il cenere e i mani sepolti?
v. 35 Sia pure, un tempo nessun pretendente riuscì a piegare te afflitta,
non dalla Libia, né prima di Tiro; fu respinto Iarba
e tutti gli altri condottieri, che l’Africa, terra ricca di trionfi
nutre. Ti opporrai anche a un amore gradito?
E non ti viene in mente nei territori di chi ti sei stabilita?
v. 40 Da una parte le città dei Getùli, stirpe insuperabile in guerra,
e i Nùmidi sfrenati ci attorniano, e l’inospitale Sirti,
dall’altra una regione deserta per la siccità e i Barcéi
che infuriano da ogni dove. E che dire delle guerre che sorgono da Tiro
e delle minacce del fratello? …
v. 45 Io credo davvero che con gli aiuti degli Dei e con Giunone favorevole
le navi troiane abbiano tenuto questa rotta [spinte] dal vento.
Come vedresti questa città, o sorella, quali regni [vedresti] sorgere
da un tale matrimonio! Con l’unione delle armi dei Teucri
a quanto grandi imprese si innalzerebbe la gloria cartaginese!
v. 50 Tu soltanto richiedi grazia agli Dei e, celebrati i riti sacri,
attendi ai doveri di ospite e accampa pretesti per trattenerlo,
finché sul mare imperversa[no] l’inverso e il piovoso Orione,
finché le navi sono distrutte, finché il clima non è favorevole”.